Gay & Bisex
I mestieri del Rosario
di honeybear
19.08.2019 |
7.861 |
5
"“Ora noi doccia…” è la voce roca del rosso..."
Povera sventurata che sono!Me ne sono venuta via dal paesello con il mio diploma di estetista e parrucchiera fieramente incorniciato, pronto da esporre nel mio salone delle meraviglie. L’ho avvolto con cura nella carta da pacco per non rompere il vetro e l’ho ben riposto dentro la valigia piena di sogni che ha viaggiato con me sul treno verso l’avvenire radioso che sognavo!
E invece con cosa mi ritrovo!? Con un impiego presso un negozio di parrucchiera presso un centro commerciale, turni da catena di montaggio, uno stipendio che basta appena a coprire le spese e la necessità di arrotondare…
E così, districandomi tra i turni della settimana, mi ritrovo, nell’ordine: a dare una mano a fare le pulizie domestiche quando e dove serve, a fare da dog e baby-sitter a chiamata, a sculettare tra i tavoli di un ristorante-pizzeria di dubbia fama e ad aiutare un fornaio-pasticcere con le preparazioni e le consegne!
Rosario mi ha chiamato mia madre: “Perché ho patito tutti e cinque i misteri dolorosi di nostro Signore mentre ti mettevo al mondo…”
Amen.
Ed ora eccomi qui, nella settimana in cui tutti sono in vacanza ad abbronzarsi, davanti alla porta dell’appartamento al primo piano del palazzo in cui vivo, pronta a dare una bella ripassata per renderlo presentabile agli affittuari che lo occupano ormai da qualche mese.
Sono cinque ragazzi dell’est che, da quanto mi dicono le comari pettegole, non spiaccicano una parola d’italiano o quasi e lavorano come artigiani o muratori. I proprietari, anch’essi di provenienza balcanica, dopo essersi trasferiti in una delle villette sulla via, non sono riusciti nell’impresa di vendere e così hanno pensato bene di sfruttare l’immobile dandolo in locazione.
Giro la chiave nella serratura, apro con cautela la porta in tenuta da battaglia: canotta aderente che riveste con cura i miei pettorali e shorts attillati che mi alzano ben bene il culetto sodo ed evidenziano lo stacco di coscia. Sbircio all’interno e già nel piccolo corridoio che da accesso al salotto la prima sorpresa: mi sfila davanti questo marcantonio biondo con occhio azzurro, fisico liscio e scolpito con il solo asciugamano annodato in vita. Si ferma a guardarmi perplesso. Io mi ricompongo all’istante, asciugando velocemente il rivolo di bava che mi scorre certamente lungo il mento: “Sono qui per pulire…”
“Pu… li… re?” mi ripete.
“Sì, pulire… – mimo il gesto di ramazzare e spolverare – Pulire…” alza le spalle grattandosi la zazzera ricciuta e si dirige verso il bagno a dare il cambio ad un altro toro. Scuro di capelli e pelo con occhio nocciola. Anche lui segue la moda dell’asciugamano annodato e mi guarda incuriosito. Altro rivolo di bava…
L’altro gli bofonchia qualcosa. Anche lui alza le spalle e se va in cucina da dove una radio diffonde musica inascoltabile ad un volume accettabile.
Risata fragorosa.
Sospiro preoccupata. Mi sento Biancaneve… Non in mezzo ai nani, ma a dei gigafighi pazzeschi. Sì, perché anche gli altri tre che mancano all’appello non sono da meno. Il livello di testosterone raggiunge picchi incredibili nella calura agostana. Ma sono una professionista io, e di conseguenza mi comporto come tale: non darò certo segni di cedimento emotivo davanti alla prima salsiccia che mi si para dinnanzi! Anche se, attraverso, le pieghe dei teli più che di salsicce, parlerei di wuberoni…
Sospiro, ma non c’è un minuto da perdere. Provo a darmi un ordine mentale sul cosa fare ma, soprattutto, da dove cominciare… Andrò dalla cucina al bagno che sono agli antipodi.
L’impresa si rivela più ardua del previsto. In ogni locale un contrattempo: mentre sono piegata in avanti per raccogliere la polvere con il mio bel culetto alzato, uno dei cinque mi si struscia contro con la scusa di prendere qualcosa dai pensili sospesi; in camera, non faccio in tempo a terminare di passare lo straccio che l’altro buontempone mi solletica con il manico dello spazzolone tra le gambe; in bagno poi, appena entrata, assisto allo spettacolo del moro che si toglie l’asciugamano e, come mamma l’ha fatto (un gran bene devo dire!), prende a staffilarmi sulla pelle nuda ridendo e schiamazzando.
Sconsolata e disperata, mi rifugio in salotto, l’unico locale che mi manca! Non muovo che pochi passi e, inciampando in uno degli indumenti che nessuno si è preso la briga di raccogliere, cado carponi. Davanti a me la sedia su cui è seduto il più massiccio del gruppo. Mi guarda sorridendo, allarga le gambe. La sagoma dell’uccello in tiro è chiaramente disegnata nella stoffa tesa e macchiata proprio là dove si trova la cappella. Continua a sorridermi e a massaggiarselo. Il suo sguardo passa da me, al randello.
Qualcuno mi spinge avanti dandomi un leggero calcio.
Bis di risate e schiamazzi.
La mia testa affonda tra le sue cosce che sprigionano un intenso aroma di maschio.
Deglutisco. Affanculo la professionalità. Afferro il cazzo più vivo che mai, ancora avvolto nella stoffa e inizio ad annusarlo e a leccarlo. In breve lo scopro, lo scappello e comincio a lavorarlo di bocca. Me lo infilo fino in gola avendo cura di bagnarlo con tutta la saliva che riesco a produrre. Lui geme soddisfatto. Anch’io del resto, dal momento che qualcuno mi sta piallando il culetto premendoci contro il piede. Provo a girarmi ma più di tanto non riesco. Ciò che vedo è il pubblico accorso alla porta che assiste smanioso di prendere il posto di chi sto spompinando.
Il maschione allora si leva per lasciare il posto ad un castano irsuto che, guarda un po’, veste solo la salvietta.
Sorpresa! Quando la spugna si spalanca, si materializza un altro bel batacchio da lappare. Alle mie spalle, le grandi manovre: mi sento slacciare e abbassare i pantaloncini. I miei slip aderenti si lacerano in un istante. Mi sento puntare e, senza troppe cerimonie, il cazzo che stavo succhiando mi sfonda con prepotenza il buchino.
“Oh…” e riprendo il lavoro di bocca sospinta dal ritmo che il panzer imprime alla scopata.
È un girotondo: a turno mi chiavano il culo e la bocca ininterrottamente. Il segnale del cambio è quando si battono il cinque. Sono assatanati e incontentabili. Veri animali da monta, padroni del gioco. Fortuna che il pianerottolo è sordo e il vicinato praticamente deserto, sennò…
Sento le braccia e la mascella che cominciano a cedere: ormai sono a quattro zampe da parecchio. Lo dimostra anche il laghetto di saliva che si è formato sotto di me. Chissà se hanno pietà della povera sventurata che stanno inculando a raffica.
No, non ce l’hanno. Non ancora almeno… Si sistemano sul divano e mi costringono a passarli in rassegna come una cagna. Zampetto da uno all’altro. Annuso affondando il naso fino alla radice di ogni cazzo. Appoggio la punta della lingua sulle cappelle in fiamme guardandoli dritti negli occhi. Picchietto dolcemente poi salgo e scendo sempre in punta come se stessi leccando un gelato. Succhio con avidità ogni goccia di liquido pre-cum che producono ammirando soddisfatta l’effetto di contorsione che esercito sui loro corpi atletici. E sbattendo languida le palpebre perché sono un po’ civetta…
Arrivo a fine corsa stremato.
Il moro peloso mi fa cenno di alzarmi.
Resto nudo in balia dei loro sguardi. Per nulla imbarazzato mi accarezzo il petto e scendo fino al pube sfiorando la leggera peluria che lo riveste. Mi liscio l’uccello in tiro osservando le varie reazioni che il mio comportamento da signorina sfrontata provoca: chi si liscia il mento passandosi la lingua tra le labbra, chi si tormenta i capezzoli sbuffando, chi allunga le mani sull’uccello del vicino masturbandolo.
Fischi di approvazione accompagnati da applausi. Credo di arrossire un poco.
Sempre il moro mi avvicina a lui. Pone le mie mani sulle sue spalle. Salgo sul divano. Tiene il suo bastone ben fermo (in effetti non avrebbe bisogno di aiuto). È un chiaro invito ad impalarmi. Così, il mio buchino che si stava lentamente chiudendo al termine della performance precedente, sta per essere nuovamente violato.
“Ohhh…” l’enorme prugna violacea inizia a slabbrarmi lentamente.
Mi fermo a mezz’aria a riprendere fiato, mentre mi abituo nuovamente alla sua presenza dentro me.
Inizio a cavalcarlo lentamente.
Poi più veloce. Di più… Ancora... Ancoraaahhh…
È l’estasi pura: le mie chiappe sbattono sulle sacche pelose emettendo l’inequivocabile suono.
Dieci, venti… Cento pompate ciascuno mi mandano dritta in paradiso, nonostante il culo in fiamme! Sperimentiamo tutte le varianti possibili dello smorza candela: guardando avanti, slinguando il maschio che mi scopa, in equilibrio sulle cosce, strizzandogli i capezzoli cui mi aggrappo… Mi tremano le gambe, sto sudando come una spugna… Ma la sollecitazione alla prostata che quei siluri mi regalano e il vario andirivieni nel mio canale valgono il gioco!
Non mi stancherei mai! E nemmeno loro a guardar bene…
I ruggiti e i sospiri si mischiano alla musica che continua a diffondersi dalla cucina.
Mi ritrovo in ginocchio accerchiata: chi mi spinge in bocca il cazzo, chi me lo sbatte sul naso. Succhio quel che posso, il resto me lo lavoro con le mani (purtroppo ne ho solo due).
È uno spettacolo vederli esplodere sul mio petto uno alla volta: sono letteralmente lavata di sborra calda. A cui aggiungo la mia.
Ovazione!
A turno li ripulisco uno alla volta mentre il rito del battersi il cinque si ripete accompagnato da commenti in lingua.
“Ora noi doccia…” è la voce roca del rosso.
Che lo spettacolo non sia finito?
Di sicuro oggi i misteri dolorosi legati al mio nome si sono rivelati gaudiosi!
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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